
Un’esigenza riconosciuta e che si accompagna, come si legge tra i commenti rilasciati in seguito al summit, al bisogno di trovare una soluzione al problema “di cittadinanza e di riorientamento delle priorità e metodiche per chiunque operi in tale direzione”. Ancor più importante è lo spostamento del centro dell’attenzione di ogni intervento o azione. Non più il disagio da curare, bensì la persona, i suoi bisogni ed i desideri. Istanze recepite dal documento costitutivo e che inevitabilmente aprono la strada ad una miriade di riflessioni, uno spettro tanto ampio – e per certi versi pericolosamente esteso – di interrogativi da porsi e da porre specie nelle relazioni, da oggi in poi, che intercorreranno tra utenti ed istituzioni. Quanto l’autonomia soggettiva dei pazienti rivoluzionerà la progettazione e gestione dei servizi? Quanto il protagonismo degli utenti metterà in discussione il modus operandi delle cooperative di inserimento lavorativo, in cui il loro ruolo è storicamente in declino? Queste solo alcune delle questioni sollevate nell’ambito della riunione di aprile. Il solco è tracciato, dunque. L’appello forte all’ascolto di chi vive il disagio da parte di chi – troppo spesso – su di esso legifera dall’alto, è stato lanciato in maniera ufficiale. Quanto le istituzioni resteranno sorde?
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