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lunedì 16 aprile 2012

Il disagio mentale ed il pregiudizio

Lo stigma, l'esclusione, il senso di diversità percepito dalla società nei confronti di quella che resta una "malattia come le altre". Questo l'ambito culturale - e reale - in cui continua a muoversi con difficoltà la salute mentale: gli utenti, i loro familiari e gli operatori.
Un ambito che, tuttavia, non si percepisce altro che parte integrande di un mondo, però, diffidente e da educare tramite azioni di corretta informazioni che coinvolgano i protagonisti della salute mentale: gli utenti. E proprio dall'associazione degli utenti di Campobasso 'Liberamente Insieme' arriva il contributo riportato di seguito. Una lunga ed accorata analisi dei motivi sottesi al persistere del pregiudizio e delle strade da percorrere per vincerlo una volta per tutte.
Legge Basaglia numero 180, 13 maggio 1978. Chiusura dei manicomi, niente più luoghi di contenimento sociali e cronicari, veri e propri lazzaretti, regolamentazione del trattamento sanitario obbligatorio.

Dal 200 dc al 1300: i pazienti venivano trattati con riti magici ed esorcismi.
Nel 400 – 500 per loro c’era il rogo.
Nel 600 – 700 la segregazione.
Nell’800 per loro c’era il manicomio.
Oggi, nel 2012, per fortuna in Italia si può anche impazzire, niente più gabbie di contenimento, ci sono le realtà costituite dai Dsm e Csm.

Ma il pregiudizio, la vergogna e lo stigma, che ancora accompagnano il disagio e la malattia mentale, non costituiscono a tutt’oggi vere e proprie gabbie di fatto? Gabbie, certo, di tipo diverso: sociali , culturali. Ma che pure rinchiudono, in una certa misura, malati, loro familiari e persino operatori e professionisti che dei malati mentali si occupano, producendo conseguenze assai negative in termini di ritardo o mancato adito alle opportune cure, diventando causa principale di emarginazione sociale: perché, per le persone, accedere ai Dsm o ai Csm, fare terapia farmacologica o psicoterapeutica, diventa difficile; subentra la vergogna: vergogna di essere etichettato quale psicolabile piuttosto che schizofrenico. E di questo tipo di esperienza, purtroppo, difficilmente si parla.
Infatti un conto è rivelare di essere stati colpiti da una malattia (il diabete ad esempio) che viene considerata come una situazione temporanea, subentrata, che però può essere curata e il paziente può ritornare a inserirsi nella vita cosiddetta ‘normale’ e quindi accettato. Un conto è, invece, rivelare di avere una malattia mentale - come ad esempio una psicosi o una schizofrenia - perché esse vengono considerate una caratteristica e non piuttosto uno stato di malattia: duratura nell’individuo, che si inculca sempre più nella vita della persona coinvolta e della sua famiglia, come un marchio a fuoco indelebile sulla pelle.

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