Non stanno nella pelle, vogliosi d’esser protagonisti. “Ti sei persa l’intervista della televisione – va gridando all’ingresso un moretto alla compagna di classe, giunta di corsa e con un pizzico di ansia in più”. “La televisione? – rimanda lei -”. “Sì, la televisione, non ci credi? Vieni te lo faccio dire da Lorenzo!”. Giunti nella sala conferenze del Museo del Sannio l’agitazione diviene ancor più palpabile. Gli alunni della II D della scuola media Torre sembrano tante biglie colorate da flipper. Sia alzano a intermittenza dai posti conquistati (ognuno gelosamente accanto al proprio amico prediletto) corrono dal tutor, gli fanno delle domande, ripetono, rossi, eccitati, concitati, con un sorriso di sfida a imbellirgli il volto.
Sono giunti alla fase finale del corso sulla ‘intelligenza emotiva’ tenuto dallo psichiatra Franco Veltro e dalla psicologa Ilenia Nicchiniello, su invito del professore di Scienze Raffaele De Rienzo. La base, un libro del luminare Pierluigi Morosini “Definizioni di obiettivi e soluzioni di problemi. Manuale di mutuoauto aiuto per la promozione della salute mentale, del benessere psicologico e dell’intelligenza emotiva nella scuola” riadattato per le scuole secondarie, e a Benevento, per la prima volta, per le inferiori, da Veltro e da Antonella Gigantesco.
Dal novembre 2011, per un’ora a settimana, durante quella di Scienze, gli studenti hanno letto in gruppo una “Unità” di “Intervento Psicoeducativo per la Promozione del Benessere Psicologico e dell’Intelligenza Emotiva nelle scuole”. E’ Lucio Salvatore, dirigente Scolastico dell’istituto comprensivo “Federico Torre” a salutare i presenti: ”Illustreremo i risultati del percorso di formazione. Tradizionalmente l’intelligenza ricercata dalla scuola è quella logico-matematica, ossia quella capacità generale di acquisire le conoscenze presenti in un ambiente, quindi un metodo di acquisizione meramente trasmissivo. I ragazzi sono considerati tanto più intelligenti quanto più capaci di apprendere.
Questo impianto teorico è stato messo in discussione nel Dopoguerra. Howard Gardner teorizzò 7 tipologie differenziate di “intelligenza”, ognuna deputata a differenti settori dell’attività umana: l’intelligenza logico-matematica, la linguistica; la spaziale; la musicale, la cinestetica o procedurale; l’interpersonale e l’intrapersonale. Il dottor Veltro ha sperimentato l’efficacia di un metodo per sviluppare le capacità interpersonale (capire gli altri) e intrapersonale (inserire la propria personalità in rapporti positivi), la cosiddetta intelligenza emotiva”.
Franco Veltro, presa la parola, cerca di dileguarsi dal protagonismo impostogli: “Il programma è stato messo a punto da un genio della sanità pubblica in Italia, il professore Pierluigi Morosini. Gli scopi sono quelli della formazione sociale, della comunicazione, della definizione di obiettivi all’interno di una metodologia che è quella dell’apprendimento attivo. Tutto avviene tramite una comunicazione tra pari, non c’è un docente. C’è un facilitatore, uno studente universitario o uno studente di scuole superiori purché conosca bene il programma.
La novità operata a Benevento è stata quella di adottare tale programma per le scuole di grado inferiore, a differenza di quanto già fatto a Campobasso, nelle scuole superiori, coordinati dal Comitato per la salute mentale Promosam. Abbiamo fatto tutto da volontari, Ilenia Nicchiniello, il professore di Scienze Raffaele Di Rienzo che ci ha permesso di utilizzare le sue ore e io. E’ stato un intervento di stimolo, non un intervento correttivo o psicologico o psicoterapico che può divenire ancor più utile in programmi olistici. 21 sono stati gli incontri di un’ora ciascuno”.
A questo punto, i raggazzi, da tempo scalpitanti prendono il sopravvento.E’ Cristian il primo: “Posso dire quello che penso dell’intelligenza emotiva? Mi ha insegnato che provo felicità, gioia, più emozioni e il loro contrario. Siamo intelligenti quando accettiamo tutti questi sentimenti. L’esperienza non è stata bella solo perché ho evitato la prima ora di matematica. Mi è stata utile per la vita”. Poi è Giovanna a spiegarci cosa sia il commento costruttivo o feedback: “Per formulare un commento costruttivo, bisogna guardare la persona negli occhi, farle dei commenti positivi, evitando critiche particolari, se proprio necessario darle dei consigli”. Volete sapere perché è importante avere degli obiettivi personali? “Aumentiamo la stima in noi, se ci si impegna nel raggiungerli, non è pero necessario raggiungerli, lo stare bene non è collegato al successo ma all’impegno profuso – rispondono loro con cognizione da saputi”.
Immaginate cosa sia un obiettivo S.M.A.R.T? L’acronimo cela uno scopo Stimolante, Misurabile, capace di migliorare l’Autostima, Realistico e Temporalizzato in maniera che si sappia quando iniziare e finire. I ragazzi pure illustrano quanto sia importante comunicare anche, se non soprattutto, i sentimenti spiacevoli. E’ una bambina a rivelarci: “Devi guardare la persona che li ha generati negli occhi, usare il pronome io, dare consigli su come evitare che la situazione si ripeta: ‘Io mi sento male quando tu ti comporti così, ti prego in futuro di abbassare il tono della voce”.
Già con queste basilari nozioni avremmo di che lambiccarci il cervello analizzando le curve strozzate a gomito della nostra vita… ma gli alunni hanno scoperto molto di più! “Alessia? 80, Fabrizia? 100, Giovanna? 80″: è il cosiddetto appello emozionale, ossia l’esprimere in un’ideale scala da 1 a 100 l’emozione che si sta provando. Rendendola pubblica la si affievolisce nella potenza e si indaga sulle cause che la vanno procurando. Che dire poi dei virus mentali, se non augurarvi che dopo la lettura non ve li ritroviate tutti come chi vi scrive: “yesterday, az, catastrofe, generalizzazioni”. Sono i mali di cui soffriamo.
Ad esempio un tipo az sarà quell’individuo che salta presto alle conclusioni, lo yesterday teorizzerà il meglio della sua vita sempre come passato ormai irraggiungibile, gli altri sono facilmente comprensibili dall’indicazione.
Lorenzo e Cristiano si alzano. Anche Giovanna andando a salutare solo uno di loro, l’altro di sfuggita. Chiedendo a quest’ultimo come si sia sentito risponde: “Triste, quasi non mi ha salutato”. La situazione potrebbe essere interpretata anche in un altro modo: “Che carina la Giovanna, andava così di fretta, eppure, seppur di sfuggita, si è premurata di salutarmi”.
Si è aperto poi il capitolo delle violenze inconsce e dell’importanza delle parole. Smesso di recriminare su quanto da noi ingiustamente patito nell’infanzia, lo sgomento ratto c’apprende: provocare sofferenze ai nostri figli?!? Ci strapazza Nicola Cicchella, pediatra e presidente dell’associazione a favore dell’infanzia Beneslan: “A volte le mamme durante le visite mi dicono – dotto’ guardate stu’ criatur’ sta ‘nguaiat -, queste sono delle violenze inconsce, non ce ne rendiamo conto ma danno sofferenza, sono comportamenti non rispettosi della individualità dei bambini e dei ragazzi. Quando a 15 anni mi recai brevemente a Bolzano per lavoro e sentii darmi del lei mi sentii un uomo. A Benevento mi appellavano -guaglio’ giuvino’, chill’ – non dare il nome al bambino è tremendo”.
La lezione più gradita dai ragazzi? Quella sulla rabbia o meglio su come correggere gli impulsi rabbiosi. Ci illustrano la tecnica: “Bisogna respirare prima con la pancia e poi gonfiare il petto, nell’espirare bisogna prima sgonfiare il petto poi lo stomaco, come accade riempiendo e svuotando una bottiglia di acqua. Bisogna guardare la persona negli occhi, dire quello che ha provocato la nostra rabbia dare un consiglio per far sì che la situazione non si ripeta, ma si deve essere seri. Si può ricorrere pure al time out, al prendere una pausa, per riflettere su quello che si deve dire, modificando i pensieri, passando dal negativo al positivo, cercando di trovare una soluzione. Possiamo pure scegliere di allontanarci da ciò che ci provoca rabbia”.
Stiamo ancora meditando su come sappiamo applicare, al massimo, l’arte dell’allontanamento quando Cicchella afferma, serio: “Il lavoro svolto con questi ragazzi è stato bellissimo e difficilissimo. Noi non siamo stati formati per saper gestire le relazioni, per riuscire a dire quello che si pensa, per non rimandare. Facciamo un esempio: depuratori. Sono 40 anni che non si fanno e vengono rimandati, senza nessuna logica. Così pure la partecipazione attiva dei ragazzi viene sempre rimandata. Altro gravissimo problema: omertà, il non dire quello che pensiamo, assistiamo a quello che non va e stiamo zitti. Abituatevi ragazzi a dire le cose, anche le più spiacevoli. La carenza di democrazia che patiamo dipende proprio dal fatto che non parliamo. In casa vi viene chiesto di che colore vorreste che la vostra stanza fosse dipinta?”. Dopo il sì dei ragazzi riprende corrucciato: ” A scuola? Per la vostra città? Voi avete diritto di partecipazione. Pretendete di essere rispettati. Quando venite offesi, parlate. Dovete guardare negli occhi il vostro tormentatore alzare il dito e dire ‘Non ti permetto di farlo più’. Voi siete importanti”.
Poi, spiega quanto sia biologicamente importante per un bambino essere amato: “Le parole modificano biologicamente il corpo, influenzano la produzione ormonale. Quanto ci portiamo dietro della nostra infanzia? Quei comportamenti che ci hanno fatto stare male ritornano da noi ai nostri figli nei momenti di stress. Anche la pedagogia del buonismo non va bene,i bambini desiderano la giustizia, vogliono sapere cosa è giusto e cosa sbagliato”. Poi, l’augurio più bello che si possa concepire: “Bambini siate liberi di pensiero e capaci di espressione”.
Ciò, senza dimenticare di ammonire sulla vita infantile infernale: “Sono dei lavoratori, a scuola per otto ore, poi la piscina, il calcio, il nuoto, un’ora di play station, il catechismo, facebook, i compiti, mangiare: un detenuto ha diritto a due ore d’aria, il bambino no. Quando si conoscono i bambini? Dobbiamo dargli gli spazi! Avevamo dei fiumi, nuotavamo nei fiumi, li abbiamo persi. Non ci preoccupiamo minimamente dell’ambiente scolastico, dell’umidità, della CO2, del Radeon. I bambini non conoscono le mappe del loro quartiere, li portiamo a scuola in auto. Smettiamola. Bisogna tornare a casa e dire al proprio bambino: “Oggi ti ho pensato, oggi ho provato questa emozione per te”.
Questi bambini di emozioni – grezze, veritiere, sproporzionate – ne hanno mostrate tante, rimandandoci tenerezza, istinto di protezione e voglia di tornare a quello sguardo acceso sulla vita.
Da http://www.ilvaglio.it/ un articolo di Tiziana Nardone pubblicato il 2 giugno 2012
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