“Un’orchidea al Polo Nord. Storia di una schizofrenia” (Edizioni Psiconline, 2011) nasce
così. Dal desiderio di parlare e far capire ad altri la propria esperienza, le
ansie, il dolore ma anche la voglia di andare oltre non fuggendo ma agendo, con
tutto l’affetto e la comprensione possibili nei confronti di una patologia così
lacerante.
Questa idea di “parlarne” ci ha colpiti e ci ha spinto
a volerne capire di più cercando, in un intenso colloquio con l’autore, la
radice profonda del libro.
La cordiale disponibilità di Stefano Lasagna traspare dalla puntuale e
generosa volontà di dedicarci un pò del suo prezioso tempo di giovane
psicologo, marito, figlio e papà, nel fare due chiacchiere con noi.
Inutile dire che parlarne è parlare della sua vita, su cui ironizza dicendo
che non ormai non c’è più nulla che non si sappia già.
Ne siamo sicuri? Ascoltiamolo..
Psiconline
Cos’è, secondo la sua esperienza, la schizofrenia?
Cos’è, secondo la sua esperienza, la schizofrenia?
Stefano Lasagna
Come psicologo considero la schizofrenia una grave patologia psichiatrica, a eziologia tuttora ignota, per diagnosticare la quale, deve essere riscontrabile un ben preciso cluster di sintomi prolungati nel tempo (vedi D.S.M. IV tr.).
La schizofrenia nella quale mi sono imbattuto per esperienza personale è quella di mia madre e, così come ogni persona è unica nella sua individualità, lo è anche la malattia della sua anima.
Per quanto riguarda mia madre, a volte penso che la sua follia sia stata il solo modo possibile per sottrarsi ad una realtà nella quale era come imprigionata. Realtà alla quale la sua vera natura non riusciva in nessun modo ad adattarsi.
Poi, capire se la definizione di realtà sia più appropriata per l’ambiente sociale, affettivo e culturale che ci circonda, o per la natura della quale siamo fatti, è una domanda alla quale risponde da sola la natura, ogni volta che si ribella ai nostri maldestri tentativi di controllarla senza prima conoscerla.
Come psicologo considero la schizofrenia una grave patologia psichiatrica, a eziologia tuttora ignota, per diagnosticare la quale, deve essere riscontrabile un ben preciso cluster di sintomi prolungati nel tempo (vedi D.S.M. IV tr.).
La schizofrenia nella quale mi sono imbattuto per esperienza personale è quella di mia madre e, così come ogni persona è unica nella sua individualità, lo è anche la malattia della sua anima.
Per quanto riguarda mia madre, a volte penso che la sua follia sia stata il solo modo possibile per sottrarsi ad una realtà nella quale era come imprigionata. Realtà alla quale la sua vera natura non riusciva in nessun modo ad adattarsi.
Poi, capire se la definizione di realtà sia più appropriata per l’ambiente sociale, affettivo e culturale che ci circonda, o per la natura della quale siamo fatti, è una domanda alla quale risponde da sola la natura, ogni volta che si ribella ai nostri maldestri tentativi di controllarla senza prima conoscerla.
In che modo ha influito sulla sua vita l’esperienza
della malattia di sua madre Francesca?
All’inizio l’idea dominante era quella di averla persa, poi sono
sopraggiunti l’esigenza di capire e il percorso verso la comprensione, tutt’ora
in corso, il quale si è rivelato uno stimolo continuo che credo mi abbia aiutato
non poco a sconfiggere la disperazione e la rabbia iniziali, originate anche
dal punto di osservazione del problema (è difficile comprendere gli altri se
prima non comprendiamo noi stessi).
Come affronterebbe oggi questa stessa esperienza di
vita? (Cosa rifarebbe e cosa no).
Mi auguro sinceramente di non rivivere più nulla di simile ma, col senno di
poi, penso che l’errore che eviterei di fare sia quello di oppormi ai deliri,
cercando di dimostrarne l’infondatezza con la logica, anziché ascoltarli
attentamente, perché sono forse l’unica via di accesso ancora disponibile per
entrare in contatto con chi soffre.
Che “consigli”, se ne esistono, darebbe a chi sta
vivendo una condizione familiare simile?
Il consiglio che mi sento di dare a chi si trova ad affrontare una
situazione di malattia mentale in famiglia, è quello di non lasciarsi, in alcun
modo, influenzare dallo stigma sociale che grava per ignoranza e superficialità
sulle malattie mentali. Ciò finirebbe per rendere ancora più dolorosa una
realtà alla quale comunque non ci si può sottrarre. Poi, per chi ne sentirà
l’esigenza, un percorso di comprensione confronto, può a mio avviso rivelarsi
molto utile.
Personalmente ho vissuto questa esperienza come figlio, altri la vivono come genitori, compagni o fratelli e sono tutte situazioni molto diverse tra loro, per le quali penso sia impossibile dare consigli generalizzati.
C’è poi una frase famosa che dice: “dà buoni consigli chi non può più dare cattivo esempio” e non è ancora il mio caso.
Personalmente ho vissuto questa esperienza come figlio, altri la vivono come genitori, compagni o fratelli e sono tutte situazioni molto diverse tra loro, per le quali penso sia impossibile dare consigli generalizzati.
C’è poi una frase famosa che dice: “dà buoni consigli chi non può più dare cattivo esempio” e non è ancora il mio caso.
In che modo spera che questo libro possa essere utile
a chi vive una situazione simile?
Ho vissuto sulla mia pelle il disagio dell’isolamento volontario, causato dal timore che nessuno potesse capire la mia frustrazione e i miei pensieri. Poi, quando ho iniziato a documentarmi leggendo storie di schizofrenia narrate da altri, mi sono sentito improvvisamente meno solo e ne ho tratto il beneficio che si trae da un confronto vero e proprio, sentendo di seguito il bisogno di scrivere la mia storia.
Spero semplicemente che la lettura del libro possa far sentire meno sole altre persone che vivono situazioni simili.
Ho vissuto sulla mia pelle il disagio dell’isolamento volontario, causato dal timore che nessuno potesse capire la mia frustrazione e i miei pensieri. Poi, quando ho iniziato a documentarmi leggendo storie di schizofrenia narrate da altri, mi sono sentito improvvisamente meno solo e ne ho tratto il beneficio che si trae da un confronto vero e proprio, sentendo di seguito il bisogno di scrivere la mia storia.
Spero semplicemente che la lettura del libro possa far sentire meno sole altre persone che vivono situazioni simili.
Dal libro traspare uno sguardo amorevole e rispettoso
nei confronti di quanto è accaduto a sua madre; è frutto della sua spiccata
sensibilità o del cammino complesso fatto nella sua vita?
Da mia madre ho imparato ad amare gli altri per quello che sono: così lei
mi ha amato e così forse, la parte più vera di lei avrebbe voluto essere amata.
Lo sguardo amorevole e rispettoso che ho per nei suoi confronti è dato
semplicemente da ciò che provo per lei, che è e sarà sempre una parte di me!
Questo amore è anche senza dubbio la fonte di energia che ha alimentato, in
tutti questi anni, la mia voglia di capire.
Chi è Stefano Lasagna oggi?
Oggi Stefano Lasagna è un quasi cinquantenne giovane dentro e da poco
laureato, che da grande vorrebbe fare lo psicologo, ma soprattutto è un padre
che spera di non fare troppi danni!
(a cura della dott.ssa Serena Stuard)
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